ILVA FOOTBALL CLUB
Usine Baug & Fratelli Maniglio
In residenza presso Polo di Taranto (11-18 gennaio) e Polo di Novoli e Campi Salentina (21-29 gennaio)
Una creazione di Usine Baug & Fratelli Maniglio
liberamente ispirato al romanzo “Ilva Football Club” di F. Colucci e L. D’Alò
Con Fabio Maniglio, Luca Maniglio, Ermanno Pingitore Stefano Rocco Claudia Russo
Luci e tecnica Emanuele Cavalcanti
Produzione Campo Teatrale
Residenza Bando Cura 2022
ILVA FOOTBALL CLUB è uno spettacolo teatrale che racconta la vita nella città di Taranto, strettamente legata alla storia dell’ex Ilva: la più grande e più inquinata acciaieria d’Europa. ILVA FOOTBALL CLUB nasce da un lavoro dettagliato di ricerca. Tutti i testi sono tratti da archivi storici, documentari e dalle interviste fatte a Taranto. La compagnia ha lavorato attivamente sul territorio anche grazie all’accoglienza del Teatro Tatà, che è situato proprio nel quartiere Tamburi di Taranto, e alla partecipazione di Pietro Pingitore in qualità documentarista e antropologo.
lo spettacolo analizza, senza prendere il registro documentaristico, la storia di oltre 60 anni del centro siderurgico, mostrando come la promessa di progresso e prosperità si siano lentamente trasformate in disillusione, rabbia, prigione e ricatto. Il dramma condensato in un dilemma: salute o lavoro. La storia dell’ex Ilva, della città di Taranto e dei suoi abitanti viene raccontata intrecciando due piste narrative che si riveleranno infine connesse. La narrazione è guidata da un presentatore che, abbattendo la quarta parete, racconta al pubblico, la storia della fantomatica Sidercalcio, alias Ilva Football Club : una piccola squadra di calcio composta da operai che, un po’ per fortuna, un po’ per talento e tenacia, sorprendono tutto il Paese facendosi strada tra le più grandi squadre di professionisti, fino ad arrivare alla finale della Coppa Italia. Realtà e finzione, indagini e dribbling, processi e goal all’ultimo minuto.
Questa leggenda diventa metafora di una lotta che negli anni ha subito molti “falli” ma ancora oggi resta viva. Un sogno che lentamente si scontra con la realtà, si sgretola, portandoci dentro il dramma della seconda pista narrativa. Alla narrazione calcistica si intrecciano monologhi e momenti corali strutturati come risposte ad un’intervista di cui non si sentono le domande. Queste comporranno un’altra storia, più quotidiana, la storia di una famiglia, una famiglia che vive in una città del sud (di cui non viene specificato il nome) che convive con un mostro: una fabbrica che “fa male”, che genera frutti avvelenati , che ammala l’ambiente e le persone ma produce profitto e tutti quegli oggetti che tutti noi acquistiamo e utilizziamo quotidianamente.
Questa storia racchiude le storie di molte famiglie di Taranto ma non solo, racconta la storia di tante famiglie in tante città in tanti “sud”, che convivono con dei mostri, città che sono esistite o che ancora non esistono ma esisteranno. Perchè se anche questo mostro venisse spazzato via, ne arriverebbero altri, imperfettamente uguali, produttori di altre cose e generatori di altre malattie che ci permetteranno di continuare a consumare al di là dei nostri limiti. I due piani narrativi mano a mano si ricongiungono per svelare il vero interlocutore della narrazione calcistica e la vera natura della leggenda Ilva Football Club: questa si rivelerà un’invenzione, una pantomima inscenata in una camera di ospedale dove si trova una famiglia, una fiaba da raccontare prima della buonanotte a un bambino, che ha chiuso gli occhi e non si sa se li riaprirà.
In scena una panchina, una televisione, cenere, ventilatori e cinque corpi che, tra telecronache, pubblicità e moviole, monologhi, racconti corali e coreografie trasformano lo spazio e si palleggiano le narrazioni. La cenere nera trasportata dal vento, poco a poco, ricopre tutto lo spazio scenico e ci racconta le polveri di Taranto che invadono la città e la malattia che invade un corpo contaminato fin dalla nascita.
Un insieme di elementi scenici che scomposti e ricomposti ci porteranno alla fine della narrazione nella camera di ospedale dove un padre racconta la storia di un sogno ad un bambino in fin di vita. Una composizione scenica basata sui colori, sui materiali, sulle luci e i suoni dell’Ilva e del quartiere Tamburi. L’acciaio, il rosso delle polveri, il nero lucido delle cozze che non si possono più mangiare, le maglie da calcio che brillano di minerali dopo il turno in fabbrica o dopo una partita sul terreno inquinato. I suoni incessanti delle macchine, degli altiforni. Le luci dell’Ilva di notte e i fumi grigi che coprono il paesaggio.
“Questo è il buio prima dell’inizio.
É il buio prima della fine.
È il buio appena prima essere di dovuti scappare via. Prima di aver dovuto prendere il telefono per avvisarlo. Prima che accadesse la cosa che più temevamo al mondo. Eravamo in spiaggia. É autunno ma c’è il sole.
Stavamo giocando a pallone e davanti a noi stavano le giraffe. Ma partiamo dall’inizio di questa storia.
Prima del buio.
Questa è la storia di una città,
è la storia di 100 città
di una città che non esiste ancora e che forse esisterà tra 100 anni,
è una storia già sentita, è una storia vecchia, vecchissima, è la storia di un mostro ma senza eroi
è la storia di una famiglia, la nostra famiglia
e di tante altre famiglie come la nostra. E in tutte le famiglie, in tutte le città, in tutte le epoche
ci si racconta le storie quando arriva il buio.“