Compagnia: Cantiere Artaud
Referente: Ciro Gallorano
Periodo: 18 – 23 ottobre 2021
Polo TRAC: Manfredonia
Tipologia di residenza: Bando nuova drammaturgia e innovazione
Giorni di residenza: 6
Ispirato alle opere di Ingmar Bergman, Il volto di Karin prende il titolo dall’omonimo cortometraggio del regista svedese dedicato alla memoria della madre Karin Åkerblom, elegia iconografica al tempo che scorre e all’importanza di sedimentare la memoria, incarnata dalle fotografie. Nel documentario Bergman mette in sequenza una serie di fotografie della madre dai 3 anni fino a pochi giorni prima della morte. In esso si avverte l’inafferrabilità del tempo, ma anche la capacità di creare attraverso la visione una dimensione altra, quella del ricordo, che permette di colmare momentaneamente un’assenza data dalla perdita creando una realtà virtuale. La produzione cinematografica bergmaniana sembra volta a mettere in discussione il tempo misurato e subordinarlo al tempo vissuto, che spesso va in contrasto con l’ineluttabilità e oggettività del primo. Il tempo in Bergman è concepito come una potente e astratta immagine della Morte. Seconda parte della Trilogia della memoria preceduta da L’eco della falena, in cui il soggetto della ricerca era il tempo come estensione dell’attimo, Il volto di Karin trasporterà la ricerca in un luogo dove il tempo cronologico si ferma e si fa da parte per dare spazio a quello dei ricordi.
L’opera di Cantiere Artaud vuole essere un esercizio sulla memoria, una ricerca sul dolore del tempo, sulla perdita degli affetti, sulla possibilità di rimeditare al vissuto passato con la coscienza del presente. Un luogo fisico, una stanza, sarà l’ambientazione che ospiterà un non-luogo, quello del sogno, unico in grado di rompere il tempo cronologico, di ricostruire la realtà del passato e farla coincidere con quella del presente. Nel sogno è possibile percepire come vive alcune persone che non ci sono più oppure che negli anni hanno mutato aspetto, è possibile avvertire noi stessi giovani, rivivere situazioni o sensazioni passate. Un’assenza può essere quindi colmata attraverso una realtà fittizia, quella onirica. La memoria è qualcosa di incorporeo, della quale il ricordo è una parte che ha la sua manifestazione privilegiata in un non-luogo, il tempo. Quante volte abbiamo desiderato di sospendere il tempo o modificare un evento passato? Il sogno di fermare il tempo ha incantato l’umanità sin dalla notte dei tempi, ma questo potere è sempre stato una prerogativa delle divinità. Solo chi vive al di fuori del tempo può dominarlo. Nel regno di Chrònos trionfa il fluire, ossia la sequenza ineluttabile di nascite, vita e morte. Nella nostra stessa società vige il fascino narcisistica della lotta contro il passare del tempo, che si traduce in una cura oltre ogni limite della propria immagine. L’uso di trucchi per contrastare l’avanzare del tempo è una pratica antichissima (ci sono testimonianze fin dall’antico Egitto), che prima apparteneva solo a una certa élite, ma la nostra società ne ha fatto un’ossessione e oggi sono comunissimi i sacrifici volti a nascondere i segni dell’età. Su questa mania giocano le industrie di bellezza e le aziende farmaceutiche, che vendono l’illusione dell’eterna giovinezza.